A PROPOSITO DI PAGELLE…
17 Febbraio 2020
I consigli dello psicoterapeuta Alberto Pellai
La fine del «primo tempo» scolastico è un momento utile per far tesoro di quello che si è fatto o porvi rimedio. Brutti voti alla fine del primo quadrimestre possono servire per misurare la forza e la flessibilità dei ragazzi, la capacità di andare avanti con energia o magari di uscire da una situazione scomoda, cambiando qualcosa. Gli psicologi la chiamano «resilienza»: capacità di reagire, adattarsi, mutare strategie, migliorare. Qualità che possono essere testate proprio all’arrivo delle schede di valutazione.
La resilienza, avverte lo psicoterapeuta, è un costrutto psicologico molto complesso, multidimensionale. «Esserne provvisti significa possedere molte competenze e saperle mettere in gioco al momento giusto». Le persone resilienti sono caratterizzate da impegno ed entusiasmo, hanno capacità di controllo, gusto per le sfide. Di fronte a una prova fallita «non si spezzano, ma si adattano, flessibili; e si rimettono in gioco per tornare alla situazione auspicabile». Per lo studente che non ha funzionato bene, la domanda cruciale da farsi è «Perché?». Le risposte vanno, ovviamente, costruite con i docenti.
A cosa fare attenzione quando arriva una pagella non eccellente? «Agli eccessi di rabbia. O alla deriva depressiva: qualcuno potrebbe essere travolto da una tristezza inconsolabile, demotivante, vedersi come soggetto senza speranza. Oppure all’ansia eccessiva, attacchi di panico, che ostacolano le forze, bloccano la capacità di reagire. La resilienza agisce all’opposto, spinge a cercare una soluzione». Un’emozione molto ricorrente tra gli adolescenti di oggi, secondo Pellai, è la paura: «Una generazione di super ansiosi, spesso con attacchi di panico per cose effettivamente banali quali un compito in classe». La colpa è nostra: «Stiamo crescendo ragazzi con il diktat della performance, senza educarli al fallimento. Sbagliare e riconoscere il proprio errore è invece il modo migliore di crescere ed evolversi». Come sciogliere la paura davanti a un insuccesso o a una sfida impegnativa? «È importante far sentire il proprio figlio accolto e compreso. E può rivelarsi utile anche raccontare i propri errori o insuccessi: aiuta a mettere tutto in prospettiva». No invece alla colpevolizzazione dei docenti, un errore che i genitori spesso commettono: «Non serve a nessuno – avverte lo psicoterapeuta – non fa emergere la vulnerabilità del ragazzo e si rinuncia ad attivare fattori di protezione».
Ricordiamoci che voti e test scolastici non sempre valutano quello che rende unici e speciali i nostri ragazzi: «anche in presenza di voti negativi, lo sguardo di mamma e papà, a casa, dovrebbe concentrarsi più che sulle singole discipline e i relativi punteggi, su altre «materie», consiglia Pellai. E cioè sulle «life skills», quelle che è importante padroneggiare per la vita: «autonomia, responsabilità, motivazione, metodo di studio, concentrazione», elenca. «Possiamo valutarle a casa ed è più propriamente in queste aree che possiamo intervenire per aiutare i nostri figli».
Non solo davanti ai brutti voti, insomma, devono drizzarsi le antenne dei genitori: «Ci capita di vedere ragazzi con pagelle eccellenti, elevate performance accademiche, ma se vai a fare il sociogramma all’interno del gruppo, per capire che tipo di relazioni interpersonali ci sono, scopri che non sono inseriti, stanno ai margini della rete. Hanno un QI altissimo, ma sono candidati a essere infelici o a non avere successo nella vita». La sensibilità di un genitore deve riuscire a mettere a fuoco l’EQ, il Quoziente emotivo – l’insieme di competenze trasversali, prosociali -: solo se anche questo cresce, insieme al Quoziente intellettivo, il ragazzo otterrà e produrrà il meglio dalla sua esperienza scolastica».
I consigli, poi, per correre ai ripari. «Aiutateli a capire che cosa deve cambiare. Spesso non si tratta di aumentare la quantità di studio, ma di diminuire la distraibilità: studiano in multitasking, si distraggono con le loro vite virtuali perché non sono abituati a reggere la fatica». Concretamente, piuttosto che cinque ore chiusi in camera, meglio cinque sessioni da venti minuti. E dovrebbero dormire di più: il sonno sostiene l’apprendimento.
Antonella De Gregorio
Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio 2020