SPUNTI-ni DI RIFLESSIONE…
24 Febbraio 2020
L’Istituto Comprensivo di Verolanuova ha organizzato, in data 5 febbraio 2020, un incontro con il dottor Domenico Barrilà, psicoterapeuta e analista adleriano, impegnato da decenni nell’attività clinica, accompagnata da una copiosa produzione editoriale. L’incontro ha avuto come tema l’influenza che l’irruzione del digitale proietta sulla mente nostra e dei nostri figli e come condiziona il nostro rapporto con loro. I nostri “figli digitali” appartengono a una generazione fragile, che oggi più che mai ha bisogno di adulti solidi, che non confondano l’“informazione” con l’ “educazione”. Il relatore ha posto l’accento sul fatto che la genitorialità è fondamentalmente un’azione di contatto, basata sul verbo “stare”. E’ molto importante riflettere sulla bellezza del verbo stare: in ogni relazione importante, prima ancora di agire, occorre «stare», trovarsi, essere in una certa condizione fisica e mentale, essere in accordo. Del resto il verbo stare indica anche una relazione amorosa: “Mario sta con Anna”. E’ necessario essere presenti, esser-ci, essere in ascolto, essere in con-tatto. Educare è saper accompagnare la normalità e anche la sofferenza (altro nome della normalità), ma è possibile accompagnare solo se si è in presenza, solo se si è in con-tatto: se mi avvicino a te e ti dedico del tempo, il messaggio che ti giunge è “tu sei importante per me”.
Le nostre emozioni si formano attraverso il contatto fisico e, ovviamente, attraverso i social o più genericamente in Rete ciò non avviene. Purtroppo, nel mondo virtuale le emozioni si “mobilitano” in modo diverso. In passato, il contatto aveva significato di vicinanza fisica; ora questo termine ha assunto un altro significato. Il contatto è sulla Rete e ognuno di noi ha centinaia di contatti senza neppure mai averli incontrati: amici sconosciuti. I nostri ragazzi trasferiscono nella Rete, magari distorcendolo, il bisogno di “legami”, che è proprio dell’uomo da sempre. Ogni persona ha uno stile di vita che lo rende riconoscibile, un modo di approcciarsi all’esistenza che è determinato da alcuni elementi ereditari, da impressioni soggettive (credenze, idee personali con le quali ci affacciamo alla realtà) e, all’80%, dall’ambiente.
Oggi l’ambiente per i ragazzi è smaterializzato; la Rete è l’ambiente in cui vivono la maggior parte delle loro relazioni. I ragazzi pensano che gli adulti siano contrari alla tecnologia: in questo ambito, infatti, le nuove generazioni, per la prima volta, ne sanno più degli adulti. L’errore compiuto dal mondo adulto sta nell’aver tentato di demonizzare la tecnologia, trasformando la questione educativa in una mera questione tecnologica: tentare, però, di delegittimare le tecnologie non è la strada. La strada è tornare ad interrogarsi sull’agire educativo.
Cosa significa educare? Qual è il compito dell’educare? Cos’è educare?
L’educazione ha un compito preciso, che non è mai cambiato nel corso degli anni: la trasmissione testimoniale.
“Il muro che separa la linea lenta da quella veloce è alto all’incirca un metro e sessanta centimetri, misurato con una discreta approssimazione, visto che arriva alle mie spalle. Aspettavo il passante ferroviario che mi avrebbe condotto in centro a Milano, sul marciapiede un certo numero di persone, non tantissime ma neppure poche, c’erano anche due bambini, gli unici a non potere gettare lo sguardo oltre quel muro di separazione. Per questo il loro mondo era assai più circoscritto rispetto a quello di cui potevamo godere noi adulti. Dall’altra parte transitavano convogli eleganti, coloratissimi, forse troppo veloci per noi adulti, che comunque potevamo seguirli con lo sguardo, ammirati dalla loro forma slanciata, avveniristica, mentre a quei bambini, che certo sarebbero rimasti eccitati da quella velocità, tutto ciò era negato. Dipendevano totalmente dal racconto della madre, che li teneva per mano e si rivolgeva loro con parole che non udivo ma, a giudicare dai gesti, mi pareva descrivessero proprio la ragione del frastuono che giungeva dall’altra parte di quella barriera, così antipatica dal loro punto di vista. Per i bambini la situazione doveva somigliare a quella di una persona che si muove in una stanza buia. Può sentire i rumori, gli odori, la temperatura e tuttavia non è in grado di spostarsi consapevolmente. Di quando in quando urta contro qualche ostacolo, un mobile o un arredo qualsiasi, senza che possa riuscire a farsi un’idea chiara dell’ambiente nel quale si sta aggirando. In quel momento avevo pensato che educare è esattamente il modo in cui noi adulti raccontiamo, a bambini e ragazzi, ciò che vediamo dall’altra parte del muro. Forse avrei dovuto dire “dei muri”, che durante la crescita si frappongono tra loro e l’ambiente, ostacolandone lo sguardo,…..
Il nostro potrà essere un racconto fedele oppure un’interpretazione arbitraria. È quasi certo, tuttavia, che i destinatari alla fine capiranno se si è trattato dell’una o dell’altra cosa; accadrà quando saranno abbastanza alti da gettare autonomamente il loro sguardo oltre a quella parete che oggi fa da barriera alla loro curiosità e alla voglia di catturare tutto ciò che li circonda.
Magari ci metteranno del tempo a capire quanto fosse veridico il racconto, forse tanto tempo, tuttavia ci arriveranno e in quel momento vedranno coi loro occhi, forse si costruiranno dei giudizi su chi aveva descritto il paesaggio che non potevano vedere. Matureranno dei sentimenti che, a seconda dei casi, potranno essere di gratitudine oppure di riprovazione, e saranno questi a decidere la qualità del rapporto tra genitori e figli. Per tale ragione è meglio essere onesti, per quanto possibile, nel momento in cui raccontiamo ciò che si vede oltre il muro.
È anche, se non soprattutto, nel nostro interesse, giacché alla fine potremmo scoprire che nell’ansia di guadagnarci un vantaggio abbiamo solo posto le condizioni per rompere un patto coi nostri figli”.
L’educazione è, quindi, anche e soprattutto ciò che diciamo, ciò che raccontiamo ai nostri figli/alunni riguardo a ciò che esiste al di là del “muro”, facendo attenzione a essere estremamente onesti, perché quando diverranno adulti verificheranno da soli, con i loro occhi e quello che abbiamo tramandato influirà non poco sulla loro vita. Importantissimo è, inoltre, dare l’esempio (non sto col cellulare davanti a te per tutto il tempo e te lo vieto) e mantenere viva nelle nuove generazioni la “nostalgia” della realtà, perché loro, vivendo nell’era digitale, non sono più nella vita reale, oltre al fatto che in Rete dicono e fanno cose che, guardando l’interlocutore negli occhi non direbbero e non farebbero mai. In fondo anche la Rete è un ambito (seppur esasperato) della vita sociale . Ma il problema è che la Rete vive di incorporeità, rende incorporeo il confronto, accentuando inclinazioni che spesso teniamo sotto controllo nella realtà, ma non nascosti dietro lo schermo.
Educare è cercare di rendere complementari gli interessi dei figli con quelli della comunità, è lavorare sui legami che aprono alle relazioni umane. E’ necessario allora aumentare lo spirito di collaborazione, allenare l’empatia dei nostri figli, coltivare l’intelligenza emotiva. Dobbiamo educare i figli alla vita sociale, alimentare lo spirito cooperativo, per dare senso all’esistenza: questo è il fine ultimo dell’educazione. Dobbiamo, inoltre, fare molta attenzione ai ragazzi che stanno tanto tempo in Rete e cogliere se perdono i contatti con la realtà, con le amicizie: questo è il campanello d’allarme. Il dottor Barillà non offre facili ricette, soluzioni assolute ai nostri problemi, ma sembra indicare la via: continuare a porci domande sulla qualità del rapporto che stiamo costruendo coi nostri figli, sulle verità che stiamo trasmettendo, sulla nostra capacità di ascoltarli e offrire loro esperienze e un tempo che permetta di mantenere viva la nostalgia per la realtà, la voglia e il rischio di viverla.
La commissione Scuola, Famiglia e Territorio dell’I. C. Verolanuova
Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio 2020